Plot narrativi: raccontiamo il brand
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Termini come storytelling, racconto, l’importanza di narrare una storia sono ormai all’ordine del giorno. Specie nel settore del marketing. Ma cosa significa tutto questo?
Oggi ti racconto cosa sono i plot narrativi e come usarli per raccontare il proprio brand.
Per farlo prendo in prestito quanto spiegato nell’affascinante libro di Giuseppe Morici “Fare marketing rimanendo brave persone”. L’autore, esperto di marketing e CEO di Bolton Food (la multinazionale che fa capo a molti marchi tra cui Rio Mare, per capirci), ci conduce in uno spettacolare viaggio all’interno della materia tra “etica e poetica del mestiere più discusso del mondo” (come recita il sottotitoletto).
“Fare marketing rimanendo brave persone”
La narrazione è l’elemento più importante del marketing. Il marketing racconta attraverso una pubblicità, attraverso un manifesto, attraverso uno slogan, ma anche attraverso un colore, un’immagine, un simbolo, un suono, un’ambientazione particolare. E tutto ciò ha l’intento finale di convincere il consumatore a cambiare idea nei confronti di un certo prodotto. Ma ha anche l’intento di veicolare un preciso messaggio. Perché attraverso le proprie parole, le immagini, le sonorità e tutto il resto il brand definisce il suo carattere, la sua unicità, la sua identità.
Fin dalle prime pagine del suo libro l’autore smonta la tesi del marketing visto solo come attività dannosa e manipolativa (e chi è che non l’ha mai pensato almeno una volta? D’altronde, si tratta di ciò che appare) riscoprendone il lato etico.
E lo fa contrapponendo il marketing cattivo al marketing più sano.
“La mia tesi di fondo” – dice Morici – “è che il marketing inteso in questo modo discreto e moderato, lungi dall’essere un’attività dannosa, invasiva o manipolativa, è in realtà un’attività generativa. Il marketing tende a creare senso e identità, al pari delle più nobili arti espressive dell’umanità, dalla scrittura al cinema, da cui in realtà mutua molti degli strumenti e dei linguaggi”. E poi continua affermando che “Chi si occupa di marketing e di pubblicità…dovrà necessariamente possedere gli strumenti e le conoscenze di base della narratologia, che strutturano la logica delle emozioni umane che da sempre vengono associate alla narrazione e da essa suscitate.”
Ed è da qui che voglio partire…
…per snocciolare tutti quanti gli schemi di narrazione descritti nel libro che ci servono per trasmettere un messaggio a chi passa distrattamente davanti ad uno scaffale o scorre velocemente la propria Homepage di Facebook o di Instagram tramite il proprio smartphone o tablet.
Morici lo definisce anche un mestiere di precisione il marketing, accostandolo all’arte monastica della miniatura che doveva avere la minuziosa abilità di raccontare una storia in due centimetri quadrati. Quelli intorno alla grande lettera maiuscola che dava inizio al capitolo di ogni libro.
Per i dettagli e gli esempi specifici da questo punto di vista, se ho suscitato qualche interesse, rimando direttamente al libro.
Anche se, un’ultima cosa su cui mi piace porre l’accento è che, per essere abili a raccontare le storie dal punto di vista del marketing, occorre un approccio multidisciplinare che sia in grado di avere una visione ampia ed integrata miscelando con sapienza le diverse discipline.
Perché la visione di chi fa marketing deve essere aperta. Creativa, generativa ed ecosostenibile. Tale da narrare in modo sincero ed appassionato migliorando in un certo senso la vita delle persone.
Come leggiamo nel libro “Un marketing che, attraverso i suoi racconti, aiuti le persone a sviluppare una loro identità”. Anche perché, come ci racconta sempre il libro, se si intende il marketing come narrazione rispettosa e non come spietato convincimento, si può recuperare l’antica nobiltà del mestiere. Quella nobiltà che deriva dai grandi imprenditori, capaci di raccontare i propri prodotti e che mettevano un grandissimo impegno nel fornire un prodotto di qualità in tutto il mondo.

Riporto lo stesso esempio del libro, perché è davvero significativo:
“Don’t buy this jacket!” (“Non comprare questo giacchetto!”) recita il brand Patagonia (marchio di abbigliamento sportivo invernale). Patagonia punta sul discorso ambientale e sulla scarsità di risorse del nostro pianeta. Non tanto perché non vuole farsi pubblicità. Ma perché vuole raccontare i suoi valori, puntando dritto alla sensibilità del consumatore attento all’ambiente.
Tutto ciò non significa dire che non esiste il cattivo marketing. Purtroppo esiste ancora ed esisterà sempre chi preferirà puntare in ogni caso su messaggi disonesti e fuorvianti. Ma questo sta a te, brand, sei tu che decidi da che parte stare.
E per completezza faccio riferimento ad uno degli esempi di cattivo marketing fatti da Morici: una bevanda poco salutare gassata e zuccherosa che si posiziona come la bevanda ideale per la cena in famiglia. Una narrazione infondata e poco veritiera. Un uso inappropriato e poco opportuno del marketing.
Non mi dilungherò qui sul discorso dei 12 archetipi di personalità (argomento che ho già trattato in questo articolo sul tono di voce del brand, ma sappi che i protagonisti delle storie umane sono proprio quelle strutture identitarie (come ci dice anche Morici).
Ma arriviamo al nocciolo della questione di oggi, finalmente parlando degli schemi di narrazione.

I 7 plot narrativi
- Viaggio e ritorno. In questo plot narrativo il focus principale è il ritorno a casa, vista come un luogo di rassicurante e abitudinaria gioia. Ne è un esempio Barilla. Sono sicura che lo ricordiamo tutti il claim “Dove c’è Barilla c’è casa”
- Alla ricerca dell’oggetto del desiderio. È il classico racconto in cui l’eroe deve compiere una missione alla ricerca di un oggetto importante. Nel mondo della pubblicità, l’eroe fa propri i valori del brand per raggiungere la meta.
- Sconfiggere il mostro. È la classica storia del perdente che sconfigge il suo avversario. L’eroe è il cliente che affronta e vince la sfida con le “armi” che il brand gli fornisce.
- Dalle stalle alle stelle. Ricordi Cenerentola o Pretty Woman? Classici esempi per questo tipo di narrazione dall’immancabile happy ending. In pubblicità, si può intendere il periodo sfortunato o maledetto come lontano dal brand. Possiamo ritrovare un esempio negli spot dei farmaci che fanno passare istantaneamente i dolori.
- La commedia. Spesso commedia degli equivoci alla fine della quale i protagonisti si ritrovano sempre uniti e felici. In pubblicità, gli eventi comici spesso si usano per descrivere le sfortunate situazioni in cui un cliente si può trovare se non utilizza i prodotti del brand.
- La rinascita. È quando il brand narra la storia di un rinnovamento, l’inizio di un nuovo capitolo. In pubblicità, a favorire questa rinascita è proprio l’incontro con il brand.
- La tragedia. La pubblicità raramente usa questo tipo di plot, a meno che non si tratti di marketing sociale, volto a spingere le persone a prendersi cura di un problema, toccando la loro sensibilità con racconti forti.
Lo scopo di questo articolo è ispirare ad una narrazione ricca di significato. Che poi è il senso di fare marketing nella giusta maniera e di raccontare i valori che guidano il proprio marchio.
Perché, come conclude Morici, negare le esigenze umane di risolvere i problemi quotidiani, godere di storie ben raccontate ed esprimere una propria identità attraverso i prodotti, equivale a negare la corrente dei mari e lo scorrere dei fiumi.

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