Harper’s Bazaar e Aesop: la cultura come codice di appartenenza
“La moda non è qualcosa che esiste solo negli abiti. La moda è nel cielo, nella strada, ha a che fare con le idee, il modo in cui viviamo, ciò che accade” – Coco Chanel su Harper’s Bazaar, 1935
Ci sono brand che fanno cultura e brand che la usano come decorazione. Harper’s Bazaar e Aesop appartengono alla prima categoria: non si limitano a citare la cultura, la abitano. In loro, il riferimento colto non è un vezzo estetico, ma un linguaggio segreto, il codice di appartenenza ad una comunità di spiriti affini, quelle persone che riconoscono sé stesse in un certo modo di pensare, di osservare e di scegliere.
Mi sono immersa più a fondo nel mondo di Harper’s Bazaar mentre lavoravo al posizionamento di una mia cliente, una fotografa di matrimoni con una visione intensa e raffinata. Stiamo costruendo per lei un universo simbolico che unisce moda, letteratura, arte e benessere con un respiro internazionale, intrecciando la sua storia personale ad un immaginario più alto e colto.
Nello studio di Bazaar, ho riconosciuto qualcosa che mi era già familiare: la stessa tensione intellettuale e sensoriale che mi aveva conquistata studiando Aesop. Due brand apparentemente lontani (uno nato tra le pagine di una rivista di moda, l’altro tra i profumi di un laboratorio di bellezza), ma uniti dalla medesima visione: quella della cultura come forma di distinzione e del pensiero come vera materia prima del lusso.
C’è una forma di lusso che non si misura in carati, ma in significato. È il lusso di chi riconosce il valore del pensiero e della coerenza. Bazaar ed Aesop lo interpretano in modi diversi, ma con la stessa intenzione: fare della cultura non un ornamento, ma una struttura. In un mondo che confonde spesso la cultura con il marketing, loro la restituiscono al suo posto originario: la mente come luogo del desiderio.
In entrambi, l’estetica non è superficie, ma conseguenza di una profondità. Bazaar traduce la cultura in immagini e parole, Aesop la traduce in gesti e rituali. E ciò che li accomuna è la capacità di far sentire il proprio pubblico parte di un mondo. Non per esclusione, ma per affinità. Chi li sceglie non lo fa tanto per status, quanto per riconoscimento. Perché in un brand così non solo si entra, lo si comprende.
Quando nacque nel 1867, Harper’s Bazaar rivoluzionò la narrazione della moda. Fu il primo a trattarla come un linguaggio culturale, non come un catalogo di tendenze. Portò l’arte nelle pagine e la letteratura nelle didascalie, trasformando l’atto di sfogliare una rivista in un gesto di contemplazione.
In un’epoca in cui la moda era superficie, Harper’s Bazaar la rese pensiero. Il suo approccio visivo e narrativo ha rotto le regole dell’editoria tradizionale, con impaginazioni asimmetriche, fotografie d’autore e collaborazioni con scrittori e artisti. Una vera rivoluzione silenziosa, che trasformò il modo stesso di raccontare la bellezza.
Decenni dopo Aesop fa lo stesso, ma con un’altra grammatica, quella della materia e del pensiero incarnato. Laddove Harper’s Bazaar eleva la parola e l’immagine, Aesop eleva il gesto e lo spazio. In lui la cultura è percezione.
Si annida nella scelta di un nome, come Steorra, “stella” in inglese antico, o nell’allusione al suo omonimo greco Esopo, che da oltre 2000 anni insegna attraverso la metafora. È nella collaborazione con architetti, come Sprenger, che ha trasformato la boutique di via del Corso a Roma in un’ode alla Roma classica. E nelle selezioni di letture consigliate, curate come inviti al pensiero.
Ogni riferimento è un segno di appartenenza per chi sa leggerlo. È una cultura che non si mostra, ma si lascia scoprire. Stratificata, colta, rarefatta.
Ed è proprio qui che Aesop e Harper’s Bazaar si incontrano, nel rigore intellettuale che fa della bellezza un modo per pensare, non per apparire.
Non è una comunicazione che urla. È una voce che sa restare sospesa, che si muove lenta e precisa come un pensiero. Non persuade, non intrattiene. Invita. È una scrittura fatta di silenzi, coerenze e sottintesi. Un linguaggio che parla solo a chi ha gli strumenti per ascoltarlo. Ed è proprio qui che risiede la forza di un posizionamento realmente magnetico, nella capacità di attrarre per affinità, non per rumore.
Nel branding spesso si confonde l’idea di “target” con quella di “pubblico”. Ma il target è una categoria, il pubblico è una comunità. Uno nasce dal marketing e l’altro dalla cultura. Un brand con una visione non cerca un bersaglio, crea un pubblico e Bazaar ed Aesop ci insegnano che un pubblico si conquista solo quando prima si costruisce una comunità simbolica. Non di consumatori, ma di persone che condividono un modo di vedere il mondo. La cultura per loro è il filtro che separa chi compra da chi comprende. E comprendere, in questo contesto, è il gesto più intimo e profondo che un brand possa ispirare.
Il target è scelto dal brand. Il pubblico, invece, è chi sceglie il brand perché si riconosce nel suo linguaggio.
E in questo senso Harper’s Bazaar ed Aesop non parlano ad un target ma si rivolgono ad un pubblico. Un pubblico colto, riflessivo, sensibile ai riferimenti culturali. Comunità di persone che trovano in quei brand un riflesso della propria identità. È la stessa cosa che facciamo anche qui, ricalcando la mia filosofia dell’ attrarre piuttosto che inseguire. Non costruiamo messaggi per colpire un target, ma universi simbolici in cui il pubblico giusto si riconosce e desidera entrare.
Mentre lavoravo con la mia cliente, mi sono accorta che quando un brand inizia a parlare con questo livello di consapevolezza, la strategia diventa quasi invisibile. Ogni scelta estetica, ogni parola, ogni dettaglio nasce da un centro preciso, da un pensiero riconoscibile. È in quel momento che la comunicazione smette di chiedere attenzione e comincia a generarla. Senza sforzo, senza rumore, solo per risonanza.
Harper’s Bazaar e Aesop incarnano due facce diverse di una stessa verità: la bellezza non è mai fine a sé stessa, è sempre veicolo di un pensiero. E ogni brand personale che aspira a lasciare un segno dovrebbe chiedersi non tanto come apparire, ma cosa significare. Perché la differenza tra un marchio che seduce e uno che eleva sta tutta lì, nel coraggio di costruire una cultura, non solo un messaggio.
Ciò che davvero distingue questi brand non è la raffinatezza del tono o la cura del dettaglio, ma la profondità della loro visione. Hanno scelto la cultura come codice di appartenenza e la lentezza come forma di lusso. E nel farlo hanno creato mondi in cui non si entra per curiosità, ma per consonanza.
In un mercato che corre, loro restano fermi. Non per mancanza di movimento, ma perché sanno di essere già nel punto giusto. E forse è proprio questo il segreto dell’attrazione, non farsi trovare da tutti, ma farsi riconoscere da chi sa vedere.
“La natura ama nascondersi”, diceva Eraclito, alludendo al fatto che spesso la trama nascosta è ancora più potente dell’apparenza manifesta. E forse è da qui che nasce il vero lusso, dalla capacità di rivelare solo a chi sa guardare davvero.
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